Da Phalombe, con la jeep carica di infermieri, medicinali e vaccini ci avviamo presto, come ogni giovedì, alla outreach-clinic. Per chi non fosse avvezzo al sistema sanitario malawiano, si tratta di presidi sanitari locali dove vengono somministrati vaccini e medicinali, e viene effettuato lo screening gravide e malnutrizione.
La destinazione odierna é il villaggio di Nyambalo, sito a 10 km dall‘ospedale di Phalombe, dove per essere curati occorre pagare il pernottamento e i farmaci utilizzati, e a 30km dall‘ospedale del governo, che é completamente gratuito, ma dispone solo di 1 infermiere ogni 60 posti letto e di 2 medici assunti per l‘intera struttura, compresa l’attività delle sale operatorie.
Dopo pochi minuti abbandoniamo la comoda strada asfaltata per addentrarci nelle famigerate „strade bianche“ africane. Un gran canyon fatto di buche e ponti pericolanti. Ci dicono tuttavia che siamo stati fortunati, la stagione delle piogge non è ancora iniziata e questo facilita di molto lo spostamento.
Attorno a noi case fatte di fango che con i loro tetti di paglia divelti, mostrano ancora le ferite inferte dal ciclone Freddy. Nonostante gli aiuti del governo, la maggior parte dei Malawiani, qui, non é ancora riuscita a riparare le proprie abitazioni; con la stagione delle piogge alle porte, la preoccupazione e il disagio aumentano.
Per tutto il tragitto non incontriamo nessun’altra auto, solo alcune motociclette, molte biciclette e moltissimi viandanti. La strada per Nyambalo ci da la dimensione di cosa significhi vivere da queste parti. Per ogni bisogno elementare: reperimento dell‘acqua, acquisto della farina, raggiungimento della scuola, del posto di lavoro o dell‘ospedale le persone sono costrette a camminare ore e ore, a qualsiasi età, con qualsiasi condizione meteo o di salute, pena l‘isolamento, la morte o la fame.
A chi poi abbia almeno una volta viaggiato in Africa, sarà nota la difficoltà dell‘attraversamento dei confini.
C‘é però un confine che qui si valica senza passaporto, dove non é richiesto alcun visto, non ci sono sbarre, né guardie armate, é il confine dell‘umano. A pochi km da Nyambalo lo attraversiamo.
L‘auto si ferma a destra, scendiamo e dopo alcuni minuti di cammino raggiungiamo la casa di Nancy. É una donna sola, con due figli di 1 e 5 anni. Il maggiore é affetto da paralisi spastica, non riuscendo a camminare deve essere accudito h24. Abbiamo saputo che da giorni non hanno di che mangiare e abbiamo deciso di andare a fare loro visita. Al nostro arrivo i bambini piangono inconsolabili, hanno fame. Entriamo nella loro casa, é buia come la notte non essendo dotata di finestre, l‘aria é pesante e notiamo che nell‘unico spazio comune non ci sono né letti, né coperte; qui si dorme direttamente a terra. Non appena doniamo farina e sapone, la faccia di Nancy tira un sospiro di sollievo, sa che quello che abbia portato le basterà per una decina di giorni.
Prossima fermata: outreach clinic.
Al nostro arrivo ad attenderci centinaia di mamme e di bambini. Sono felici di vederci, ci accolgono con un canto ed una preghiera. Le vaccinazioni e lo screening si svolgono ordinatamente e rapidamente, il sistema é ottimamente
rodato. Notiamo, però, che l‘edificio che dovrebbe accoglierci é severamente danneggiato, che i farmaci a disposizione non sono sufficienti a coprire il fabbisogno, tutte le donne con cui parliamo ci riportano di come la fame le affligga e scopriamo che la maggior parte di questi bambini non va a scuola.
Daniele (il medico con il quale ho intrapreso questa avventura) ed io ci guardiamo lungamente negli occhi senza dire nulla: i confini dell’umano é uno di quei posti che toglie il fiato.
Alla sera, entrambi conveniamo che il primo farmaco di cui questi bambini necessitino sia il cibo, e decidiamo che l‘outreach clinic program debba al più presto prevedere, oltre alla distribuzione di farmaci e vaccini, anche quella di farina, così come la messa in sicurezza dell‘edificio che ospita l‘outreach clinic.
Conveniamo che non ci si possa nemmeno dimenticare di quei bambini, come il figlio di Nancy, affetti da paralisi spastica. Ne abbiamo incontrati parecchi in questi giorni, rappresentano veramente „gli ultimi tra gli ultimi“ in questa terra disumana. L‘indomani parliamo con il nostro infermiere Steve e decidiamo di voler fornire ciascuno di loro di una carrozzella per facilitarne gli spostamenti, cosí come di farina e fisioterapia.
É la nascita di due nuovi progetti, che portano con loro la speranza di lenire un po‘ della sofferenza palpata nella terra al confine dell‘umano.
É il nostro ringraziamento ed arrivederci a questa gente che ci ricorda come il confine dell‘umano, seppur non segnalato e dimenticato, continui ad esistere e a dar casa a milioni di persone. Nutriamo un sogno: una scuola per Nyambalo.